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Ovidio


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autore
brano
 
Tacito
De oratoria,12
 
originale
 
[12] Nemora vero et luci et secretum ipsum, quod Aper increpabat, tantam mihi adferunt voluptatem, ut inter praecipuos carminum fructus numerem, quod non in strepitu nec sedente ante ostium litigatore nec inter sordes ac lacrimas reorum componuntur, sed secedit animus in loca pura atque innocentia fruiturque sedibus sacris. Haec eloquentiae primordia, haec penetralia; hoc primum habitu cultuque commoda mortalibus in illa casta et nullis contacta vitiis pectora influxit: sic oracula loquebantur. Nam lucrosae huius et sanguinantis eloquentiae usus recens et ex malis moribus natus, atque, ut tu dicebas, Aper, in locum teli repertus. Ceterum felix illud et, ut more nostro loquar, aureum saeculum, et oratorum et criminum inops, poetis et vatibus abundabat, qui bene facta canerent, non qui male admissa defenderent. Nec ullis aut gloria maior aut augustior honor, primum apud deos, quorum proferre responsa et interesse epulis ferebantur, deinde apud illos dis genitos sacrosque reges, inter quos neminem causidicum, sed Orphea ac Linum ac, si introspicere altius velis, ipsum Apollinem accepimus. vel si haec fabulosa nimis et composita videntur, illud certe mihi concedes, Aper, non minorem honorem Homero quam Demostheni apud posteros, nec angustioribus terminis famam Euripidis aut Sophoclis quam Lysiae aut Hyperidis includi. Pluris hodie reperies, qui Ciceronis gloriam quam qui Virgilii detrectent: nec ullus Asinii aut Messallae liber tam inlustris est quam Medea Ovidii aut Varii Thyestes.
 
traduzione
 
12. ?Le selve e i boschi e la vita appartata, che Apro denigrava, mi arrecano una gioia cos? grande, che annovero tra i principali vantaggi della poesia il fatto che non la si pu? comporre in mezzo al fracasso n? dei clienti seduti in nostra attesa di fronte alla porta, n? tra gli accusati miseramente vestiti e in lacrime; no, l'animo si ritrae in luoghi puri e innocenti e gusta la gioia di una sacra dimora. Questa ? stata la culla della parola, questo il suo sacrario. In questa forma e in queste condizioni per la prima volta la parola ? entrata, per il bene dei mortali, in quei petti casti e incontaminati dai vizi; cos? parlavano gli oracoli. Perch? la pratica di questa nostra eloquenza, tesa al guadagno grondante di sangue, ? un fatto recente, nato da cattivi costumi. Come tu hai detto, Apro, ? stata inventata come arma di offesa. Invece quella felice e, per usare il nostro linguaggio, aurea et?, povera di oratori e di accuse, contava poeti e vati in abbondanza, per cantare le belle azioni invece che per tutelare i misfatti. A nessuno toccava una gloria maggiore o un prestigio pi? solenne, anzitutto presso gli d?i, dei quali si credeva che proferissero i responsi e che fossero presenti come ospiti ai loro banchetti, e poi presso i re di origine divina e come tali sacri, in compagnia dei quali non ci risulta che ci sia stato alcun causidico, bens? Orfeo e Lino o, se vogliamo guardare pi? addietro, lo stesso Apollo. Ma se ci? ti sembra troppo una leggenda costruita, questo almeno mi concederai, Apro, che presso i posteri non si rende a Omero un onore minore che a Demostene, e che la fama di Euripide e di Sofocle non ? confinata in limiti pi? angusti di quella di Lisia e di Iperide. Oggi troverai pi? detrattori della gloria di Cicerone che non di Virgilio e nessun libro di Asinio o di Messalla ? famoso quanto la Medea di Ovidio o il Tieste di Vario.?
 

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